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mercoledì 5 luglio 2023

Albero della vita

La storia ha una data precisa 1800 e un paese, San Sostene, paesino sul versante jonico delle serre,
più indietro non è possibile andare, mancano date e dati.


In quell’anno, viene alla luce  Gregorio Capano, a 20 anni sposa Teresa Gualtieri nel 1820;
dalla loro unione nasce sicuramente Domenico Antonio, il quale sposa il 17 febbraio del 1855  Procopio Barbara.
Da qui la storia è più leggibile:  generano 6 figli/e come da piantina, i due maschi, Vincenzo e Gregorio, li troviamo negli anni successivi rispettivamente  a Vibo valentia e Dasà, emigrati?..
non credo visto che possedevano ‘u castanitu, segno di agiatezza...
e allora quale altra ragione li ha spinti a lasciare il loro paese?.. non ci è dato sapere.
Visto i geni che hanno tramandato, ho immaginato questa storia...
Otello Prefazio…a sua insaputa:-).. mi ha dato una mano.  
Fratelli di GC:



mercoledì 14 febbraio 2018

Mamma

'Mmaculata 

Cresciuta fra stenti e affanni nei capanni,
amari quegli anni.
Eri una bella figghjola,
U pezzaru, ti ha messo le lenzuola.
Niente avevi, ma lo socializzavi.
Latinni, cuore generoso, doveroso, orgoglioso.
Dare la vita, tutte le donne lo sanno fare,
Darla due volte è speciale.
Adesso, dove sei, stai meglio...
Cc'è a nonna Maria,
Cc'è a nanna Fratea,
Cc'è a zia Veneranda,
Cc'è a...
In montagna ti accompagnavo per quel sentiero...
adesso ti dedico questo pensiero.

               




IL GALLO 


Mia madre mi ha spesso raccontato che io ho tutto il suo sangue, sangue latinno, in virtù di una trasfusione che mi è stata praticata all'età di 9 mesi. Non ricordo nulla ovviamente, ma, tuttora ne porto il segno.
E' successo che in quella epoca, siamo nel '56, la mortalità infantile era altissima, si moriva per malattie che oggi si curano tranquillamente con una pillola;
insomma ero sul punto di morte anzi avevano già allestito la piccola bara, il dottore aveva detto che non c'era più niente da fare, ero spacciato, avevo il sangue infetto, e quasi per consolare Mia Madre,
Inzitari, questo il suo nome, le dice che si poteva tentare una trasfusione, ma le probabilità di sopravvivenza erano ridotte al lumicino, che non ne valeva la pena di tentare, insomma ero più di là che di qua.
Mia madre, cuore generoso, non si è arresa, ed ha voluto tentare comunque, nonostante il dottore continuava a sconsigliarla, e così si è proceduto alla trasfusione.
Dopo, il dottore Le dice che se riuscivo a superare le 36 - 48 ore c'era qualche possibilità di sopravvivenza, ma conveniva comunque preparare la bara.
Nella casa del dottore, cominciano a passare le prime ore, i parenti s’alternavano, le notizie si bisbigliavano, fra alternarsi di pianti, disperazione e qualche parola di speranza di conforto;
fatto sta che respirando a fatica, riesco a passare il periodo critico, comincio, molto lentamente, a muovermi, a dare segni di vita, insomma sono ancora qui a raccontarla.
Passati alcuni giorni e ormai invertita la tendenza della morte con la vita, i Miei, per ringraziare il Dottore per la riuscita dell’operazione, decidono di fargli un regalo.
”Sdebitarsi” coi dottori poi...pagare in natura...vista la scarsità di moneta.
Avevano in campagna un piccolo allevamento di pollame, dove ci sono galline, i galli non mancano...
uno in particolare... era maestoso adatto all'occasione.
Mi raccontava mia Madre che aveva un modo di fare il chichirichì davvero superbo, maestoso,
così, dopo molte discussioni se dovevano portarlo vivo oppure morto, optano per portarlo vivo, è più gradito pensano... e così la mattina successiva al ritorno dalla campagna, dismessi gli abiti da lavoro e indossati quelli della domenica, s’incamminano verso la casa del dottore con il gallo in mano;
iI dottore era occupato con altri pazienti, ma saputo di che si trattava dalla servente, è sceso, e chiedendo notizie del “redivivo” ha fatto lasciare il gallo alla donna di servizio;
ringraziato ancora per quanto aveva fatto per me, i Miei se ne ritornano a casa contenti e soddisfatti.
Nel pollaio le galline certamente sentivano la mancanza del "capo" di quel suo canto altisonante,
ma come si fa a spiegare loro che era stato sacrificato per una causa nobile!??
La sera mentre si accingevano a cenare, mia madre sente un rumore provenire dalle scale e allarmata,
chiama mio padre, pensando a qualche intruso, così piano ed in silenzio, scendono insieme nel “catuajiu”
una specie di ripostiglio dove c’era di tutto, dal vino alle olive, alla legna, finanche le galline,
ciascuno nel proprio spazio.. accendono la luce e...con grande sorpresa vedono lì in mezzo un intruso...
ma con fare famigliare.... Era il GALLO!!! , il "loro" gallo, bello, maestoso, sembrava il ritorno del guerriero. Come mai è ancora qui? Si chiedono preoccupati, come sarà arrivato? chi l’ha portato? e soprattutto, adesso che fare? Riportarlo indietro è stato il loro primo pensiero, il dottore lo meritava, anche se in tutta onestà, non aveva certo bisogno del loro gallo, onesti come erano fino all'inverosimile; poi mia madre da buona pragmatica e fatalista, dice che se era tornato, era segno che il destino aveva deciso così, e che quindi doveva rimanere lì, ma nessuno lo doveva vedere, per non sembrare uno sgarbo nei confronti del Dottore, quindi la sofferta decisione: lo si teneva lì ancora per quella notte, essendo ormai tardi, ma all'indomani, alle prime luci dell’alba al maestoso gallo si sarebbe fatta la festa.
Questo episodio, raccontatomi spesso nel corso degli anni, mi ha sempre fatto pensare di essere fortunato e di avere la sensazione di poter/dover vivere a lungo.
Mi dico sempre, se dovevo morire presto, quale meglio occasione di quella?
c'era già la bara pronta.



martedì 24 ottobre 2017

PAESE




Paese mio che stai in collina,
mille anime, con la gallina.
Ci ho passato la fanciullezza,
libera e selvaggia, che bellezza.
Comunità stretta a dei pezzi di legno,
scusate, me ne vergogno.
I preti a farla da padrona,
la campana che rintrona.
Case sempre più vuote,
non si gioca più con le ruote.
Il telefono è senza filo,
tutti hanno il profilo,
facebook ormai è il tutto,
Scusate, mi scappa un rutto.
Se questa è la legge,
mi chiamo fuori dal gregge.
Guccini me l'ha suggerita,
ne faccio il motto per la vita,
scusate, non mi lego a questa schiera,
morirò pecora nera.

giovedì 29 giugno 2017

martedì 6 giugno 2017

Qua si campa d'aria

Ho aperto questa pagina per rendere omaggio al grande Otello Profazio, mastru sonaturi, metterò dei video, poesie e altro materiale, suoi e di qualche altro artista che merita, a mio modesto parere.Per fare spazio, ho tolto le poesie..che tali non sono, essendo mie.







'Ndrangheta, assalto ai fondi Ue e all'affare migranti; 68 arresti. Coinvolti un sacerdote e il capo della Misericordia. La Repubblica.


Questo canto è stato scritto, tanto tempo fa, 
da Ignazio Buttitta, poeta dialettale siciliano 
e messo in canzone dal grande cantastorie calabrese Otello Profazio.




Dialetto siciliano









Lingua italiana


La mafia e li parrini
Si déttiru la manu
Poviri cittadini
Poviru paisanu

Mafia e parrini

Si déttiru la manu
Mafia e parrini
Si déttiru la manu

La mafia e li parrini

Eterna sancisuca
Sidduni nni li spaddi
E corda chi nn’affuca

 
E Mafia e parrini

Si déttiru la manu
Mafia e parrini
Si déttiru la manu

 
Unu jsa la cruci

L’autru punta e spara
Unu minaccia ‘nfernu
L’autru la lupara

 
Mafia e parrini

Si déttiru la manu
Mafia e parrini
Si déttiru la manu

 
Chi semu surdi e muti

Rumpemu sti catini
Sicilia voli gloria
Né mafia e né parrini

 
Mafia e parrini

Si déttiru la manu
Mafia e parrini
Si déttiru la manu

Mafia e parrini

Si déttiru la manu
Mafia e parrini
Si déttiru la manu
La mafia e i preti
si diedero la mano
poveri cittadini,
povero paesano!

E mafia e preti

si son data la mano
E mafia e preti
si son data la mano

Mafia e preti:

eterne sanguisughe,
basto sopra le spalle
e cappio che ci strangola.

  E mafia e preti

si son data la mano
Mafia e preti
si son data la mano

 Uno alza la croce,

l'altro prende la mira e spara
Uno minaccia l'inferno
e l'altro la lupara.

  E Mafia e preti

si son dati la mano
Mafia e preti
si son data la mano

Che siamo sordi o muti??!
Rompiamo le catene!
la Sicilia ha i suoi meriti
non la mafia o i preti!

 E mafia e preti

si son data la mano
Mafia e preti
si son data la mano

E mafia e preti
si son data la mano
Mafia e preti
si son data la mano



sabato 20 maggio 2017

Sergio Adelchi Argada

Sergio Adelchi Argada

Sergio ti han chiamato, io non ti ho conosciuto,
eppure lo stesso periodo abbiamo vissuto.
I fasci non ti hanno dato scampo
la tua vita finita in un lampo.
Eri come me, un ragazzo,
pronto a spingere più il là,  il muro della libertà.
Come me, avevi sogni e bisogni,
speranze e desideri,  da far diventare veri.
Quello era un periodo turbolento
la morte ci stava accanto,
il suo alito si sentiva come un canto.
Molte volte anche io l'ho vista,
il mio T I A mi ha tenuto in pista.
Con noi c'era anche Impastato...
più fortunato ad essere ricordato,
ancora oggi è osannato,
libri, film gli hanno dedicato.
A te nessuno  ti ha più menzionato,
ringraziato, sei finito dimenticato.
Come me, eri un generoso,
della militanza orgoglioso.
La bandiera del fronte da portare avanti,
alle ragioni dei deboli sempre attenti,
sempre pronti.
Per i cani dei potere, pericolosi,
da trattare come lebbrosi...
ti ribelli, come osi?

Ti mando questo fiore col vento,
sempre con me ti porto accanto.

dovunque sei Alelchi,
 i cieli del bene cavalchi.

Gori Capano


mercoledì 10 maggio 2017

A madonna i Pizzoni

Catti bona?…si si, catti bona.

 No pe diri, meggjiu non potia cadiri.

Ancora volava
 mentre a testa rotolava.

Catti pe troppi magghji.
Catti pe lordi mbrogghji.
Catti pe amuri di figghji.
L’amuri supera i scogghji.
U sannu i poveri migrati, 
disgraziati, sventurati, sciagurati.

Chiji chi veninu di là, 
ndannu a protezioni di allah,  
che è chjiù saggiu,
 non si faci portari a passeggiu.

I ‘ndiani, chjini i scienza,  
‘nto jiumma lavanu panni e coscienza.

Buddha, quando nci fannu girari i cuggjiuna,
nci manda i munzuna.

Maometto,   i voli tutti sutta o soi tetto.

Atri, povareji, 
senza ori, 
figghji di diu minori.

Tutti su accumunati
du stessu bucu duvi su nati,
bucu di donna chi chiamati madonna.

U lignu non è eternu, vu dicu,
megghjiu u ficu.

Si ‘ncunu semi gigghjia, 
nesci a fica, chi ‘nduci a vucca.

A prossima vota, pe cortesia,
passati prima da falegnameria,
c’è Peppi u cornutu,
tantu ‘mprecau,
chi mutu diventau.
'Nci u dici l’oraculu
 u faci u miraculu.

Va torna vergini e nova, 
 pronta pe natra dura prova.

martedì 9 maggio 2017

Cristina

 

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Cristina era una mia coetanea, eravamo piccoli entrambi, penso che corresse l’anno 1967. Lei era di famiglia molto numerosa, credo che fosse la decima di tredici figli. Erano tempi, quelli, in cui ai genitori si usava dare del Voi nei paesi, segno di timore - ma anche di rispetto. Bel visino, carina, vispa; la conoscevo perché, oltre ad essere molto amico di uno dei suoi numerosi fratelli, abitavamo nella stessa ruga (nella stessa zona); ogni tanto andavo a trovarli, con qualche scusa, nella loro modesta casa popolare. Era la prima volta che sentivo il cuore cominciare a mandare messaggi, a palpitare. Mi piaceva Cristina. Quel pomeriggio il suo compito non era quello di fare i compiti, come si conviene ad una ragazzina di scuola elementare; in primis c’era quello di aiutare a mandare avanti la baracca: 13 bocche da sfamare tutti i giorni è dura per chiunque, per una famiglia povera è un’impresa ardua. Il suo compito quel pomeriggio era di andare in campagna a fare i lavori che in quella stagione necessitavano. Sua madre decise di dirottarla al fiume a lavare i panni che la famiglia aveva accumulato, ritenendolo, evidentemente, più urgente dei lavori in campagna; la lavatrice ancora era da venire nei paesini del sud Italia. Obbediente al volere materno, si carica sulla piccola testa il recipiente con dentro i panni e s’avvia verso il fiume, cosa che aveva fatto già tante altre volte; non era di certo semplice la vita per i ragazzini in quell’epoca. Arrivata a destinazione saluta le altre donne e inizia il lavoro. Il fiume scendeva direttamente dalla montagna e attraversava tutto l’abitato. Spesso ci si trovava a giocare e a bere di quell’acqua, ma consci che poteva essere ormai sporca, recitavamo una filastrocca per depurarla: “acqua sottacqua, l’angelo mbivi u diavolu sciatta”, e così - nella nostra fantasia - l’acqua, come d’incanto, si trasformava in acqua benedetta…. beata fanciullezza! Il fiume era una fonte di sostentamento per molta gente; con la sua acqua si poteva far andare avanti il mulino, il frantoio; spesso i paesi nascevano appositamente intorno ai fiumi. Così alle spalle delle donne che lavavano i panni vi era una struttura ormai fatiscente fatta di briesti (un miscuglio di terra, paglia e fango): era un frantoio ancora funzionante. Alcuni dicevano che andava chiuso o almeno ristrutturato, ma, ci sono sempre dei ma… finché, quel maledetto giorno, la struttura cede. Crolla, con tutto il suo pulviscolo marrone, e chi va a beccare? Fra tanta gente, su chi si accanisce la sorte? Su Cristina, la più piccola fra le presenti, Lei resta sotto il muro. Altre donne lì vicino, subiscono qualche escoriazione. Lei no, il destino crudele le aveva riservato quella ingrata sorte: morire a 8 anni! Poi, a tragedia avvenuta, tutti quanti dicevano che la struttura era fatiscente, che doveva essere chiusa. Intanto Lei ha terminato il suo percorso di vita senza averla neanche assaporata. Che brutta fine per quell’angelo immacolato. La disperazione della madre è stata qualcosa di tragico; si colpevolizzava perché era stata Lei a dirottarla al fiume. Qualcuno, per consolarla, diceva che: quando il destino arriva non c’è niente da fare e che se fosse andata in campagna, chissà, un serpente che pure c’erano, forse l’avrebbe avvelenata… forse… intanto Lei non c’è più. È stato il mio primo contatto con la morte. Dopo questo episodio ho sentito molta gente parlare di fortuna e destino; dicono che ognuno di noi ne ha uno già assegnato, e che quando arriva il momento, ci trova ovunque noi siamo, non c’è nulla da fare… forse, sarà anche così, con molti se e dei ma. In questo caso mi sembrava essere stato più incuria dell’uomo che volontà divinatoria. 
Milano, 6 aprile 2006

 Gori Capano
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Le storie hanno il potere di lasciare un segno, di farci riflettere, di accompagnarci in un viaggio che va oltre le pagine. In cammino con T...