Saluto augurale

Salute e felicità a chi passa di qua.

Sono le mie "fesserie", i miei pensieri, stravaganti e seri...ma veri. Ad un saluto, non starò muto;
chi passa e tace, lo stesso auguro pace.
Finché rime e pensieri escono volentieri in italiano e in dialetto, è segno che mi diletto.
Anche il texano vuole la sua parte, crede che è arte...parlerò anche di borsa, ma non di corsa.

Con il piacere per la scrittura... auguro a tutti buona lettura.

martedì 9 maggio 2017

Cristina

 

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Cristina era una mia coetanea, eravamo piccoli entrambi, penso che corresse l’anno 1967. Lei era di famiglia molto numerosa, credo che fosse la decima di tredici figli. Erano tempi, quelli, in cui ai genitori si usava dare del Voi nei paesi, segno di timore - ma anche di rispetto. Bel visino, carina, vispa; la conoscevo perché, oltre ad essere molto amico di uno dei suoi numerosi fratelli, abitavamo nella stessa ruga (nella stessa zona); ogni tanto andavo a trovarli, con qualche scusa, nella loro modesta casa popolare. Era la prima volta che sentivo il cuore cominciare a mandare messaggi, a palpitare. Mi piaceva Cristina. Quel pomeriggio il suo compito non era quello di fare i compiti, come si conviene ad una ragazzina di scuola elementare; in primis c’era quello di aiutare a mandare avanti la baracca: 13 bocche da sfamare tutti i giorni è dura per chiunque, per una famiglia povera è un’impresa ardua. Il suo compito quel pomeriggio era di andare in campagna a fare i lavori che in quella stagione necessitavano. Sua madre decise di dirottarla al fiume a lavare i panni che la famiglia aveva accumulato, ritenendolo, evidentemente, più urgente dei lavori in campagna; la lavatrice ancora era da venire nei paesini del sud Italia. Obbediente al volere materno, si carica sulla piccola testa il recipiente con dentro i panni e s’avvia verso il fiume, cosa che aveva fatto già tante altre volte; non era di certo semplice la vita per i ragazzini in quell’epoca. Arrivata a destinazione saluta le altre donne e inizia il lavoro. Il fiume scendeva direttamente dalla montagna e attraversava tutto l’abitato. Spesso ci si trovava a giocare e a bere di quell’acqua, ma consci che poteva essere ormai sporca, recitavamo una filastrocca per depurarla: “acqua sottacqua, l’angelo mbivi u diavolu sciatta”, e così - nella nostra fantasia - l’acqua, come d’incanto, si trasformava in acqua benedetta…. beata fanciullezza! Il fiume era una fonte di sostentamento per molta gente; con la sua acqua si poteva far andare avanti il mulino, il frantoio; spesso i paesi nascevano appositamente intorno ai fiumi. Così alle spalle delle donne che lavavano i panni vi era una struttura ormai fatiscente fatta di briesti (un miscuglio di terra, paglia e fango): era un frantoio ancora funzionante. Alcuni dicevano che andava chiuso o almeno ristrutturato, ma, ci sono sempre dei ma… finché, quel maledetto giorno, la struttura cede. Crolla, con tutto il suo pulviscolo marrone, e chi va a beccare? Fra tanta gente, su chi si accanisce la sorte? Su Cristina, la più piccola fra le presenti, Lei resta sotto il muro. Altre donne lì vicino, subiscono qualche escoriazione. Lei no, il destino crudele le aveva riservato quella ingrata sorte: morire a 8 anni! Poi, a tragedia avvenuta, tutti quanti dicevano che la struttura era fatiscente, che doveva essere chiusa. Intanto Lei ha terminato il suo percorso di vita senza averla neanche assaporata. Che brutta fine per quell’angelo immacolato. La disperazione della madre è stata qualcosa di tragico; si colpevolizzava perché era stata Lei a dirottarla al fiume. Qualcuno, per consolarla, diceva che: quando il destino arriva non c’è niente da fare e che se fosse andata in campagna, chissà, un serpente che pure c’erano, forse l’avrebbe avvelenata… forse… intanto Lei non c’è più. È stato il mio primo contatto con la morte. Dopo questo episodio ho sentito molta gente parlare di fortuna e destino; dicono che ognuno di noi ne ha uno già assegnato, e che quando arriva il momento, ci trova ovunque noi siamo, non c’è nulla da fare… forse, sarà anche così, con molti se e dei ma. In questo caso mi sembrava essere stato più incuria dell’uomo che volontà divinatoria. 
Milano, 6 aprile 2006

 Gori Capano

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